La presentazione di Clara Rech
Sono molto contenta, molto felice ed anche emozionata che Daniela mi abbia chiamato per presentare questa bellissima mostra. È una mostra che forse non casualmente si colloca a Venezia perché è veramente all’insegna del colore, satura di colore e di luce e , devo dire, che la cornice veneziana è sicuramente la più consona ad ospitare una mostra di questo tipo.
Daniela ed io non ci conosciamo da molto tempo, ma , di certo, ci siamo subito “riconosciute”, perché è subito scattata una sintonia profonda di personalità e di identità di intenti.
Io sono donna di scuola: attualmente sono una preside ma ho insegnato per vent’anni Storia dell’arte, oltre ad avere l’onore di presiedere l’ANISA, un’associazione che fin dalla sua fondazione, nel 1950, si è sempre interessata di educare con l’arte.
Noi crediamo fortemente che la dimensione estetica sia una dimensione imprescindibile per la formazione della persona e per questo mi piace sempre ricordare una frase famosissima di Dostojevski che è quella secondo la quale la bellezza salverà il mondo. La bellezza intesa, ovviamente, come dimensione di pienezza, come arricchimento della persona, come spazio della creatività, del gioco. Lo spazio ludico in cui, a differenza che nella vita banalmente intesa, non necessariamente contano solo le cose utili, pragmatiche e profittevoli ma invece conta ciò che fa respirare l’anima e che ci consente di essere davvero liberi.
L’arte è proprio questo e una pittura come quella di Daniela, che si situa tra l’astrazione e il figurativo, consente una chiave di accesso anche alle persone che non necessariamente si intendono di arte o hanno fatto studi di tipo storico-artistico. Tutti sono comunque in grado di goderne e di apprezzarla uscendone arricchiti. Ma contemporaneamente è una pittura che ci garantisce quello spazio intenso e infinito che, come diceva Kandinskij, il figurativo nega. Quando vediamo un’opera d’arte che necessariamente rappresenta qualche cosa siamo costretti a leggerci quel dato significato, un albero, una casa, il mare. Invece davanti a un’opera non figurativa ognuno di noi, apprezzando linee e colori, può andare oltre l’unico significato e leggervi tanti significati diversi. Diventa possibile un’acquisizione di senso infinitamente ricca, uno scambio continuamente aperto tra l’artista e chi usufruisce della sua opera. La pittura di Daniela mi sembra riesca a cogliere questi due aspetti: la figuratività, da una parte, perché ci rende possibile riconoscere quello che viene raffigurato, ma anche la non figuratività – e quindi l’astrazione – in cui ognuno è libero di cogliere tra le righe, come appunto titola questa mostra, una molteplicità di significati altri, diciamo all’infinito.
Tutto il pensiero filosofico, da Platone ai giorni nostri, ha sempre affermato che è “tra le righe”, nella zona di confine, nella zona di sconfinamento tra i vari campi semantici che si situa la creatività che si genera fecondità di pensiero. Ora non è un caso che la fotografia che Daniela ha scelto per aprire questa mostra rappresenta una sorta di scritta, quella che sembra essere una scritta su campo azzurro, e che in realtà, mi ha rivelato Daniela stessa, è una corsia sul fondo di una piscina che viene rifratta dall’acqua. Ecco lo sguardo dell’artista ha questa capacità visionaria: quello che ognuno di noi vede come un oggetto banale, senza senso, senza importanza, l’artista è in grado di coglierlo invece per tutta la ricchezza polisemica di cui è carico. E di fatto la sua fotografia ce l’ha reso qualcosa di unico e speciale da un oggetto banale qual era. Questo significa poter godere della vita attraverso l’arte, cioè poter vedere qualcosa aldilà della banalità della visione scontata e comune che soltanto l’artista ci può aprire e far godere.
Non dirò più nulla sul percorso della mostra perché questo aspetto curerà meglio Daniela che ci potrà illustrare il perché di determinate scelte. Come avete avuto modo di vedere i quadri rappresentano gli elementi fondamentali, l’aria, l’acqua, il fuoco e la terra e si concludono con un quadro che è un omaggio a Turner e anche questo ovviamente non è un caso. Turner, Venezia, la luce il colore: è un po’ la sintesi di tutto quello che ha voluto fare Daniela e non è un caso che è l’unico quadro con una cornice tradizionale a significare l’Arte di per sé.
Mi sembra possa significare il trionfo di un linguaggio che, essendo un linguaggio artistico, travalica qualsiasi differenza, qualsiasi ostacolo, qualsiasi impedimento, nella comunicazione tra le persone. Il linguaggio dell’arte, sia figurativa che musicale, è un linguaggio in cui ci si può capire tra mondi e culture lontanissime, permettendo di gettare ponti tra le persone. Questo lo sapeva benissimo anche il mondo antico: pensate alla stessa arte medievale con le “Bibliae Pauperum” grazie alle quali si ammaestravano intere popolazioni, intere cittadinanze sui contenuti della fede tramite le immagini. L’immagine parla all’illetterato, all’analfabeta, alla persona che parla una lingua differente dalla nostra e quindi è anche un potente, forse il più potente, veicolo interculturale.
Ho iniziato con una frase di Dostoievskij e concludo con una frase di uno dei maggiori filosofi di questo tempo, Jilles Deleuze che ci invita a parlare la nostra lingua come stranieri ovvero saper cogliere, aldilà delle parole che utilizziamo come nostre, significati altri che possono essere di altre persone. Un invito alla “famiglianza” piuttosto che alla “tolleranza” cioè a sentirsi uno perché esiste un “altro” da noi.
Fonte: www.onartediem.it