I CAMPI CON GLI OCCHI DEGLI ADULTI
Constatare che in condizione di povertà e semplicità lontanissime dalla nostra opulenza si può essere allegri, generosi, ottimisti, ci indirizza verso un cammino di libertà dalle nostre tiranniche esigenze che altro non sono che sovrastrutture culturali, derive dell’essere.
“I nostri genitori cubani”, così gli oltre trenta ragazzi ci chiamavano durante il mese passato insieme a lavorare all’Habana vieja. L’appellativo, con tutto il carico di affetto che si portava dietro, ci ha improvvisamente chiarito la nostra identità all’interno del campo: avevamo la responsabilità di dare punti di riferimento, qualche sicurezza in più, se occorreva qualche consiglio, e soprattutto l’esempio che, seppure over 50, ancora potevamo accettare la sfida della scomodità, del disagio, della fatica se tutto ciò veniva condiviso con tanti altri. Un bellissimo titolo guadagnato sul campo – è proprio il caso di dirlo – che bene descrive il rapporto che si era creato tra noi «grandi» e I giovani tra i 18 e i 30 circa, che hanno deciso anche quest’anno di imbarcarsi in una piccolo follia dei nostri tempi: pagare per lavorare, vivere con tante restrizioni impensabili a casa, «sacrificare» il tempo delle vacanze, agognato tutto l’anno, dedicandolo non a se stessi ma agli altri.
Le motivazioni dichiarate di questa decisione sono tante, compreso il fascino di andare a Cuba. Ma di fondo c’era in tutti il desiderio di staccare dal modo utilitaristico in cui la nostra vita è spesa, mettere per una volta qualcuno al di fuori di sé al centro del proprio interesse, accettare di delocalizzarsi.
In una parola: vivere da adulti e non da bambini, ossia da persone che sanno dare e considerano il prendersi cura degli altri una cosa naturale; persone che non pensano solo a chiedere, ad esigere di vedere soddisfatti i propri inesauribili bisogni, ma sanno pure mettere la sordina al proprio bulimico ego guardando oltre se stessi.
Applicando questa sana ecologia della mente e del cuore, spesso abbiamo dovuto riconoscere che è più ciò che si guadagna che quel si offre. Nessuno può illudersi che un mese di attività volontaria possa risolvere i problemi di un uomo o di un popolo.
Durante quel mese è piuttosto il volontario che risolve molti dei suoi problemi interni e risana il suo essere con uno stile di vita più giusto, che resetta le sciocche vacuità in cui di solito siamo tutti invischiati. Constatare che in condizione di povertà e semplicità lontanissime dalla nostra opulenza si può essere allegri, generosi, ottimisti, ci indirizza verso un cammino di libertà dalle nostre tiranniche esigenze che altro non sono che sovrastrutture culturali, derive dell’essere.
È commovente il senso di attesa che si coglie in ciascuno dei cubani, piccoli e vecchi. Aspettano per un anno il ritorno dei loro amici italiani di cui ricordano il nome perfettamente. L’accoglienza che ci riservano è totale, affettuosa, grata. Sembra incredibile ma siamo tornati a casa carichi di doni resi preziosi dal lavoro dell’uomo che aveva nobilitato la poverissima materia di cui erano fatti: carta, tappi di bottiglia, ritaglidi stoffa hanno acquisito il valore della bellezza grazie all’abilità delle loro mani, al loro ingegno operoso, alla loro creatività resa sapiente dalla mancanza del superfluo. Sono lezioni di cui abbiamo un disperato bisogno, tanto da giovani quanto da persone mature. I nostri giovani, si sono spesi senza riserve e più di uno si è legato talmente tanto ai tanti amici di Cuba che decide ogni anno di tornare. Nascono relazioni umane forti fondate non sull’interesse ma sullo scambio di umanità che è davvero un bene perenne.
Noi grandi abbiamo ricevuto molto anche dal vivere insieme ai giovani: si torna ragazzi, si riscopre il fascino disinibito del ballare, del cantare, del chiacchierare la sera, di giocare sulla spiaggia tutti insieme e magari di fare il bagno di mezzanotte. Cadono i pregiudizi, ci si capisce meglio quando si condividono fatica, impegno e soddisfazione. I ragazzi erano stupiti che persone grandi desiderassero ancora tutto questo, avessero ancora uno spirito di avventura e, soprattutto, lo desiderassero come coppia.
Forse in questo abbiamo dato loro la tacita testimonianza che ad ogni età è possibile condividere un desiderio e provare che è possibile rimettere a fuoco ciò per cui vale la pena vivere sperimentando una galvanizzante sensazione di libertà. Anche questo è stupefacente: ci si sente più liberi quando si accetta di obbedire ad alcune regole che ci riportano al ritmo vero della vita.
Ogni giorno abbiamo accettato di alzarci presto per la preghiera comune, mangiare frugalmente, compiere i vari servizi con temperature e umidità tropicali, prendere una doccia quando l’acqua era disponibile, di nuovo pregare, cenare e infine andare tutti insieme a bere qualcosa in allegria prima di andare a dormire. Giornate scandite da ritmi precisi e fatte di preghiera, frugalità, comunione, allegria, impegno per gli altri. E tutto questo in vacanza. Regole che procurano libertà, follia che dona saggezza.