Da La Stampa del 25/12/2018
Di tutti gli animali leggendari dell’arte, del folklore e della letteratura, l’unicorno è quello con la maggiore presa sulla nostra immaginazione. Se centauri, idre, chimere e altre creature favolose appaiono evidenti invenzioni e «pastiches» fra partianatomiche di umani e animali, l’unicorno ci fa quasi fantasticare sulla sua reale esistenza.
Forse anche perché, durante i secoli, è circolato in lungo e in largo il preziosissimo corno d’avorio a lui attribuito: bianco e lucente, attorcigliato come una lunga vite, che poteva raggiungere una lunghezza persino di tre metri. Era un vero tesoro che veniva venduto ai personaggi più ricchi e potenti grazie alle sue presunte, straordinarie capacità medicamentose.
COME VEDERLO DAL VIVO
Abbiamo potuto toccare con mano uno di questi corni conservato, non a caso, presso la sede dell’Accademia d’Arte Sanitaria, uno tra i più affascinanti e meno conosciuti musei di Roma. Nonostante la leggerezza dell’aspetto, l’alicorno (questo il nome dell’appendice del mitico equino) è molto pesante. Colpisce come la regolarità del suo morbido intaglio elicoidale rimanga in asse perfettamente rettilineo. Il corno risale al tardo ‘500, almeno il suo astuccio di legno foderato in cuoio marocchino che meriterebbe un restauro per tornare a splendere di oro e di rosso scuro. (Per contribuire al restauro: associazionetheriaca@gmail.com).
LA STORIA DEL CETACEO CHE LO POSSEDEVA
In realtà, questo miracolo della natura è il dente del maschio di narvalo (Monodon monoceros), un grosso cetaceo, lungo fino a cinque metri, che vive nei mari artici. Non è ancora ben chiara la funzione della zanna, ma nel 2017, un filmato del WWF Canada ha dimostrato che viene usata dal cetaceo per colpire i pesci e stordirli prima di cibarsene.
Furono i vichinghi a importare in Europa i ricercatissimi denti dei narvali tanto che alcuni storici ritengono che la ricchezza dell’Islanda, a ridosso dell’anno 1000, sia stata dovuta proprio al commercio. Dopotutto, si riteneva che fossero in grado di neutralizzare qualsiasi veleno o di rivelarne la presenza attraverso vari fenomeni.
UN MITO INDOEUROPEO
Dell’unicorno si comincia a favoleggiare 4000 anni fa in India, ma il primo a citare le proprietà miracolose del corno fu Ctesia, il medico greco vissuto nel V sec. a.C. che fu alle dirette dipendenze di Artaserse II, re dei Persiani. Secondo le sue prescrizioni, chi voleva salvarsi dal veleno doveva sempre bere in coppe realizzate con quell’avorio particolare.
Quasi mille anni dopo nel trattato paleocristiano «Fisiologo» si leggeva di come un serpente avesse sputato il suo veleno nell’acqua, impedendo a tutti gli animali di bere. Giunse però l’unicorno che tracciò una croce nell’acqua rendendola nuovamente potabile.
Il mito si è protratto fino alla modernità, dato che ancora nel 1650 il medico inglese J. Swan scriveva:
“Questo corno ha molte virtù sovrane e, con un’ammirevole destrezza, espelle il veleno: così che, se viene posto su una tavola imbandita per il banchetto con molte vivande e numerosi piatti, distinguerà rapidamente se fra essi vi sono veleni o sostanze nocive; infatti, se ce ne sono, il corno subito si ricopre con una specie di sudore o di rugiada”.
Non a caso, il dente di narvalo veniva montato spesso su teste di cavallo fittizie che fungevano da piedistallo, per fare bella mostra di sé sulle tavole di papi, imperatori, principi, nobili di alto rango e tutti coloro che erano continuamente esposti al rischio di essere avvelenati.
L’UNICORNO VISCONTI
La professoressa Cecilia Piana Agostinetti è studiosa dell’animale fantastico e ha curato il restauro di una bellissima testa di unicorno di legno intagliato e dorato di epoca barocca nella collezione dell’antico liceo romano Ennio Quirino Visconti. Insieme alla docente e alla preside Clara Rech, abbiamo chiesto all’Ambasciata di Norvegia di informarsi se qualche museo zoologico norvegese volesse donare un dente di narvalo per integrare – col placet della Soprintendenza italiana – questo splendido oggetto e riportarlo alla sua “funzione” originaria. L’ufficio culturale norvegese ha risposto fissando un incontro per verificare la fattibilità del progetto.
LA LEGGENDA TRAMANDATA DA LEONARDO
Per catturare questo animale favoloso e impadronirsi del miracolosa medicina che portava in fronte, esisteva un trucco che contemplava come “esca” l’uso di una vergine. Lo stesso Leonardo da Vinci tramandava: «L’unicorno, per la sua intemperanza e non sapersi vincere, per lo diletto che ha delle donzelle, dimentica la sua ferocità e salvatichezza; ponendo da canto ogni sospetto va alla sedente donzella, e se le addormenta in grembo; e i cacciatori in tal modo lo pigliano».
Pur essendo il corno un riferimento sessuale, in epoca cristiana il favoloso equino assunse un significato legato alla figura di Cristo e alla virtù della castità. Secondo alcune fonti, l’unicorno fu strumento dello Spirito Santo che se ne servì per indicare il grembo di Maria e generarvi il Bambino.
FINE DI UN SOGNO
La fine ufficiale del mito risale al 1827 quando il naturalista francese Georges Cuvier decretò come fosse impossibile la sua esistenza. Quasi per sfida, nel 1933, il biologo americano Franklin Dove, dimostrò la possibilità di far crescere un unico corno frontale sulla testa di un toro reimpiantandogli chirurgicamente le corna quando era ancora un vitello.
Un animale terrestre che può aver dato origine alla leggenda è però l’Elasmotherium sibiricum, una sorta di rinoceronte preistorico che, per certi aspetti, assomigliava a un equino. E’ plausibile che il suo mito tragga origine da una descrizione tramandata oralmente dall’uomo preistorico.
Da goffo rinoceronte, l’animale si è via via ingentilito nel tempo fino a diventare un elegantissimo simbolo di forza, nobiltà e purezza, utilizzato sovente anche nell’araldica.
Andrea Cionci